Note critiche

Marco Baruzzo

Persone vere, incastonate come gemme preziose su sfondi eterei, onirici ed irreali…
Persone vere che fluttuano come sospese in passeggiate cosmiche dove l’assenza di gravità regna indisturbata…
Persone vere che cercano, in quel mondo fiabesco senza riferimenti di alcun genere, un percorso una via, un punto di arrivo senza magari capire quale fosse stato il punto di partenza…
Un unica certezza in quella desolata ed inquietante solitudine: l’esistenza di un cordone ombelicale che lega le persone ad una strana forma di madre terra e che permette loro, forse, di non perdersi, di rimanere ancorate al punto di partenza, qualunque cosa accada.
È un cordone che, proprio come quello ombelicale, trasmette la sicurezza della vita ma non solo: è come se si volesse comunicare che, quelle persone vere, possono riporre le loro speranze solo in quel filo di Arianna che le tiene ancorate al mondo e che, forse, mantiene viva la loro memoria, la loro identità.
È come se quel filo mitologico si trasformasse in una super tecnologica fibra ottica che consente il passaggio di un flusso interminabile di informazioni, ed una quantità indefinita di energia vitale, quasi fluorescente.
Sembra che l’artista ci voglia trasmettere un monito che, allo stesso tempo, rappresenta una perentoria raccomandazione: uomini veri, che dovete fare i conti con la quotidiana realtà vera, cruda e problematica, non dimenticate mai che la vostra vera essenza non è materiale, non dimenticate mai che se non rimanete costantemente legati al SOGNO che vive dentro di voi, perderete la vostra identità e ciò  che avete di più prezioso; le qualità che vi differenziano e che rendono ognuno di voi, creatura unica ed irripetibile. E forse, uno dei modi privilegiati utile a percorrere questa via, è quella ti tornare bambini (“Il cacciatore di sogni”) per sentire e vedere la realtà con la spontanea ingenuità tipica della fanciullezza. Con quell’innocenza infantile che obbliga a vedere il vero per ciò che è senza adattamenti o (“revisionismi”) che permettono di addomesticare la verità a proprio uso e consumo. E solo allora, forse, chiunque di noi si metta in discussione ed intraprenda questo viaggio dell’anima, può essere incarnato. In quel bimbo accovacciato e protetto sotto il vecchio e paterno albero che dalla madre terra trae la sua luminosa linfa, e la cui chioma si anima e trasmette calore, luce ineffabile, calma e serena accettazione del proprio io. Il bimbo si fida del padre e trae da lui ogni insegnamento utile a vivere la vita in modo responsabile, vero. Ed il saggio albero padre ricorda al figlio che egli non è l’unico individuo del creato ad essere dotato del dono inestimabile della vita, e che, come tale, questo è un dono che va usato con saggia intelligenza rispettando il mondo nel quale viviamo e le regole naturali che rendono la Terra unica nel cosmo conosciuto.
E non si pensi che questi siano discorsi troppo complessi per dei semplici ed ingenui bimbi, perché sono proprio i bimbi ad insegnarci, molto spesso, che se noi adulti non ci spogliamo della nostra matura consapevolezza, non riusciremo più a stupirci di fronte ad una radiosa alba o ad un maestoso e rosso tramonto. Se non avremo il coraggio di far affiorare le emozioni che vivono sopite e sepolte nel nostro cuore, non potremo mai commuoverci anche solo per uno sguardo o una carezza di chi ci ama… Quali maestri sono i bimbi ed i sogni che vivono in loro, per tutti noi.
Maestro, grazie per lo scossone che vuole donarci con le sue opere. Non perda mai la pazienza e continui a stimolarci. Lo spessore di polvere grassa che ricopre il nostro cuore è consistente, ma non demorda perché una semplice goccia d’acqua può segnare e scavare anche la roccia più dura. Continui a donarci le sue stille preziose ed il bimbo che vive in noi forse si risveglierà e ci farà godere delle semplici cose del mondo per come sono, nella loro ingenua e sconvolgente semplicità. Le sembra poco?

 

Alfio Borghese

“Paolo Di Rosa vive sulle nuvole: ma la bambagia è piena di concetti, di letture importanti, di cultura sapientemente acquisita. Sono rimasti i ricordi, le lettere sparse di un alfabeto fatto però di maiuscole, quali guide per una rappresentazione sognante, metafisica. C’è comunque un forte ancoramento alla realtà, la speranza che soltanto i ragazzi possono dare un senso compiuto alla nostra esistenza, E forse la nuvola in basso, attraverso esili fili, potrebbe essere ancorata alla terra”
Dott. Alfio Borghese.

 

Giulia Naspi

Paolo Di Rosa non racconta: il suo è un intervento diretto sulla realtà tramite la costruzione di un immaginario pittorico del quale noi diventiamo protagonisti nel momento in cui osserviamo un suo dipinto.

Paolo Di Rosa ha il potere di tramutarci in protagonisti della sua stessa arte: non ci sentiamo spiazzati di fronte ai suoi dipinti, non abbiamo la sensazione di non riuscire a cogliere un significato recondito, non ci sentiamo a disagio. Egli ci fornisce un input, ci invita a far parte del suo mondo che noi possiamo interpretare come vogliamo e possiamo addirittura continuare a costruire con la nostra immaginazione oltre i limiti della tela.

La possibilità di immaginare tramite la fantasia possibile esito delle storie che Paolo ci racconta ci è fornita da un elemento che ricorre molto spesso nelle sue opere: il filo.

Fili di materia pittorica che costruiscono i piani, che rappresentano gli elementi, ma che molto più spesso sono veri e propri fili conduttori che hanno il compito di guidarci attraverso la nostra immaginazione, verso direzioni che noi stessi tracciamo al di là dei limiti pittorici e tramite la nostra fantasia. L’immagine del filo come strada da seguire verso un’altra realtà affonda le sue radici nella mitologia greca: pensiamo a Teseo e Arianna, ma anche la leggenda di Penelope che disfaceva la sua tela può esser presa come una metafora del filo che disfatto ha comunque il potere di condurre verso una speranza, ovvero il ritorno dell’uomo amato.

Il filo come direzione fisica ma anche come segnale di una condizione sentimentale, quel groviglio di sentimenti che diventano nodi e gomitoli che non possono essere districati. Probabilmente Kandinskij non parlerebbe tanto di fili quanto di linee che non sono altro che la rappresentazione più essenziale ed immediata del sentire umano, come spiega in uno dei suoi testi più celebri: Punto, Linea, Superficie.

Con Paolo Di Rosa non siamo più nella costruzione dello spazio, ma in un’anti-spazialità fisica di origine onirica dove noi spettatori siamo autori tanto quanto lo è il pittore stesso.

 

Riconoscimenti

1° premio Pittura e grafica Scarpatetti Arte 2012 all’artista Paolo Di Rosa.
Per la fantasia dell’immaginare l’uomo che modella la sua città; per farlo affronta difficoltà rappresentate dalla scala che lo pone in equilibrio precario. La composizione rivela padronanza tecnica.

Premio Artista Arte sul Naviglio 2012, Milano. XXV° EDIZIONE 2° Premio all’Artista Paolo Di Rosa.
Il suo coraggio l’ha spinto a varcare le barriere della sua stessa tecnica, sino a toccare mete insperate per le arti visive, conferendo alle sue opere una intensità di stile e profondità di contenuti difficilmente rappresentabili. Si evince che questo Artista abbia compiuto con la sua gestualità il primo passo su di un pianeta sconosciuto.

Premio Città di Morbegno 2011. II Premio Tema libero all’artista Paolo Di Rosa con la seguente motivazione:
Il quadro ha realizzato un tema particolare, caratterizzato da una morbidezza di tratto, da una determinazione concettuale e da un’elegante struttura formale, riprendendo alcuni temi contemporanei, che rendono il tutto preciso e bilanciato.
La personalità dell’artista ha scelto questo tema affrontandolo in modo consapevole di ottenere un risultato di equilibrio e forza nello stesso tempo

Premio Artista Arte sul Naviglio 2011, Milano. La giuria si è così espressa:
Il fascino di una lirica individuale che apre al sogno della luce che separa l’ombra dell’inconscio, dalla concretezza del reale, scibile perché misurabile

Primo premio concorso Nazionale di Pittura EMILIO GOLA XXX° EDIZIONE BIENNALE 2009
Il dipinto scelto manifesta un giusto equilibrio tra abilità tecnica, aspetto compositivo e significato. La tecnica risulta originale e funzionale al soggetto, contribuendo a dare il senso di dinamicità all’onda. Da un punto di vista compositivo è giocato sulla diagonale al cui centro c’è il “disegnatore di onde”, trattato con particolare freschezza. L’impeto dell’increspatura ondosa si contrappone a uno spazio bianco e desolato ma estremamente luminoso. L’onda è il sogno, l’aspetto creativo dell’uomo che, malgrado l’apparente impossibilità di realizzare concretamente la forza del mare, usa il genio e strumenti per seguire il suo immaginario.